martedì 13 agosto 2013

Racconto - Psycho



 Le persone mi disgustano. Brulicano per la città con i loro vestiti a poco prezzo, si portano appresso tupperware pieni di cibo scadente in borse di plastica con stampati orribili cagnolini. Quando vado a fare la spesa osservo cosa contengono i loro carrelli e il viso mi si contorce in una smorfia: insaccati, piatti pronti surgelati, polpettone precotto, formaggi grassi: cibo spazzatura per gente spazzatura. Mangiano merda e si lamentano di strati e strati di adipe di cui non riescono a liberarsi.

Imbottiti di frasi fatte e sprovvisti di neuroni, sono morti dentro e non se ne rendono conto, sopravvivono per alimentare la vita stereotipata fatta di una casa, un lavoro a tempo indeterminato, matrimonio, figli, pensione, morte. Quando scavi più a fondo, dietro alla facciata di una vita stabile e perfetta trovi tradimenti, bugie, egoismo e malcontento. Ma va tutto bene, finché lo stipendio arriva ogni mese, finché tutto scorre in banale tranquillità, senza sorprese.
Pupazzi ridicoli, sciatte casalinghe senza interessi, manager che portano puttane nelle loro macchine aziendali mentre la moglie si imbottisce di Xanax e menzogne. Loro che non hanno mai letto un libro dall'inizio alla fine, che guardano il telegiornale e credono a qualsiasi cosa il sistema sceglie di dirgli per rintronarli di stronzate, che passano il sabato pomeriggio al centro commerciale e comprano decorazioni di Natale fingendo di divertirsi alle riunioni famigliari.
Mi fanno tutti schifo.
Qualche giorno fa ho incontrato il mio ex fidanzato Ruben. Non lo vedevo da dieci anni e la cosa più utile che gli ho visto imparare durante la nostra relazione è stato dosare l'alcool nelle giuste quantità per preparare un ottimo Cuba libre. Stavo tornando a casa dopo una giornata di lavoro particolarmente pesante e l'ho incrociato mentre saliva le scale della metropolitana. Sentivo odore di sudore e pelle non lavata e mi stavo guardando intorno per capire da dove provenisse e invece di trovare il colpevole ho visto la sua faccia, solo che al posto del vecchio sguardo da maschio stupido con la tessera dello stadio in tasca aveva un penetrante occhio che sembrava vispo e intelligente.
«Monica! Sei proprio tu?» invece che rispondere l'ho squadrato da capo a piedi, quello che aveva addosso era un completo di Gucci?
«Non ci posso credere! Quanto tempo, sei ancora splendida!» e dicendolo mi ha preso la mano e l'ha baciata da perfetto galantuomo, sfiorandola appena. Sembrava un'altra persona rispetto a quella che avevo lasciato al culmine del mio fastidio per la sua assoluta banalità.
Dopo una raffica di parole e convenevoli inutili tipo cosa fai nella vita, sei fidanzata, hai dei figli, che lavoro fai, una lista di banali domande di circostanza, mi ha chiesto se volevo andare con lui a prendere un aperitivo. Gli ho risposto che mi avrebbe fatto piacere, volevo capire dove si era nascosto il ridicolo ragazzo che non sopportavo più e come avesse fatto a lasciare il posto ad un uomo carismatico e pieno di sé.
L'ex fidanzato fallito, che sembrava essere diventato un vincente, mi ha portata nel locale più costoso della città, uno di quelli dove devi prenotare un tavolo una settimana prima per poterti sedere, ha fatto un cenno alla ragazza all'ingresso, che sembrava conoscerlo, lei sorridendo ci ha accompagnati nel privèe. Non sapevo nemmeno che lo avessero, un privèe. Ha ordinato champagne e ha cominciato a farmi un resoconto dettagliato della sua vita da quando l'ho lasciato. Per un periodo ha lavorato come magazziniere in una importante compagnia farmaceutica e lì ha conosciuto Carla, la bella e stupida figlia del proprietario. Sapevo che non sarebbe mai arrivato da nessuna parte con quell'unico neurone che aveva nel cervello. Ridendo mi ha raccontato di come sia stato facile farsi sposare e di quanto rapidamente era riuscito grazie a lei ad ottenere un posto manageriale. Ed ecco spiegati i soldi, i vestiti di alta moda e l'assurda, ostentata sicurezza che sembrava uscirgli da ogni poro.
Lui spiegava, rideva e a volte mi lusingava con complimenti del tutto incolori e banali. Osservavo i suoi denti sbiancati chimicamente e sognavo di fracassarglieli con una vanga. Sorridevo, amabile e falsa, mentre con quella forchetta che stava usando per mangiare il cibo del ricco buffet volevo trapassargli la giugulare. La rabbia saliva ogni minuto.
La gente mi fa schifo, soprattutto quelli che ottengono risultati e in realtà non si meritano niente.
Prima di andarmene dal locale gli ho sussurrato all'orecchio:
«Rimarrai sempre un perdente, anche con quella maschera di vittoria» lui mi ha guardato senza parole e sono andata via.
Le persone mi disgustano, tutte. 

(ispirato al film American Psycho, tratto dall'omonimo libro di Bret Easton Ellis, capolavoro della letteratura moderna) 

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